07 ottobre 2010

Margheritine ripiene di anduja su salsa di piselli

Margheritine all'anduja su salsa di piselli

Da pochi giorni faccio parte dell'accademia del peperoncino, non potevo non "festeggiare" l'evento con una ricetta degna di tal appartenenza: eccovi quindi del tortelli ripieni di della più classica anduja calabrese poggiati su una delicata salsa di piselli. L'abbinamento dell'anduja piccante con il dolce dei piselli è 'stupendevole', quasi commovente. Il risultato è degno di un matrimonio d'amore dove il piccante si sente in tutto il suo sapore ma non da fastidio tenuto sotto controllo dalla morbidezza della salsa.
Prima di lasciarvi alla ricetta è doveroso ringraziare Loredana, che ha ispirato e dato un nome alla forma della pasta: margheritine ripiene.

Per la salsa di piselli:
300 grammi di pisellini congelati
olio evo q.b.
acqua effervescente q.b
sale q.b

Purtroppo questa è una di quelle preparazioni per cui bisogna andare ad 'occhio'. Il bello è che nonostante i piselli siano fuori stagione, visto che vanno usati congelati è possibile usare quelli che si sono congelati a tempo debito appena raccolti, oppure comperare un pacco di quelli congelati da supermercato. Ovviamente che la prima sia la cosa migliore non lo sto neppure a dire, anche se ormai non si conserva più nulla: non si conserva il pomodoro, non si fanno molte composte di frutta, non si sciroppa nulla, ma soprattutto è sempre più difficile trovare il pesce sotto sale o sotto salamoia fatto in casa. Ma bando alle ciance, frullare insieme i piselli, mezzo bicchiere (circa 75ml) di acqua effervescente (fredda), l'olio ed un pizzico di sale. Aggiungere se serve altra acqua o altro olio. Far sobbollire il composto così ottenuto per una decina di minuti, regolare ancora di acqua o di olio o di sale e frullare ulteriormente fino ad ottenere una purea. Passare al colino fine, lasciar raffreddare, coprire con delle pellicola e conservare in frigo fino al momento del servizio.

Per il ripieno di anduja:
400 grammi di anduja
olio evo q.b.
acqua effervescente q.b.

Privare l'anduja del budello di cui è rivestita e lavorare il contenuto con un cutter. Aggiungere olio evo quando basta e pochissima acqua, fino ad ottenere un composto cremoso ed omogeneo. Va sempre tenuto in mente che si tratta di un ripieno per cui non dobbiamo fare una crema, ma qualcosa di leggermente più denso. Porre il tutto in un sac-a-poche e conservare fino al momento di riempire la sfoglia.

Per la sfoglia:
210 grammi di semola di grano duro
90 grammi di farina 00
6 rossi d'uovo
sale q.b.
acqua minerale naturale q.b.

Impastare le farine con i rossi d'uovo e un pizzico di sale aggiungendo un po di acqua qualora dovesse servire, fino ad ottenere una palla liscia e non appiccicosa di pasta. Coprire con pellicola e lasciar riposare in frigo per almeno un'ora.
Stendere la pasta il più fino possibile, io ho usato il rullo del kitchen aid al massimo della chiusura (n. 8). Adagiare su metà sfoglia il ripieno di anduja e coprire con l'altra metà della sfoglia. A questo punto è fondamentale aiutarsi con le dita per togliere l'aria attorno al ripieno, e quindi provvedere a stampare con l'apposito strumento le stelline rotonde; da ultimo unire i due lembi opposti della forma rotondeggiante per ottenere la margheritina.
Posare la pasta ottenuta su una teglia ricoperta di carta forno e spolverata con un po di semola.

Il piatto:
Lessare la pasta in abbondante acqua salata. Riscaldare la salsa di piselli al microonde. Impiattare stendendo a specchio la salsa e quindi adagiarvi sopra le margheritine appena saltate in poco olio evo. Decorare il piatto con un lembo di pomodoro fritto in poco olio evo.

18 agosto 2010

Aria Siciiana: semifreddo di mandorla pizzuta di Avola con riccioli di limone caramellato su salsa calda di caffè, cioccolato e cardamomo

Non so se avete presente questa canzone:

Se non la conoscete vale la pena di ascoltarla e vi trascinerà vostro malgrado in questo caldo pomeriggio del mese di Agosto in un piccolo paesino della Sicilia. Una volta che siete arrivati più o meno a metà e che sentite questa aria calda carezzarvi e dolcemente tormentarvi avrete bisogno di qualcosa che dia profondità a e realtà a questo momento. E' il momento di avvicinare al palato un po di questo semifreddo che concluderà questa full-immersion sensoriale.

Semifreddo di mandorla pizzuta di Avola
Per il semifreddo:
5 uova
400 grammi di zucchero (100g a velo per la meringa, 100g per il "pralinato", 200g per montare i tuorli)
500 ml di panna da montare
150 grammi di mandorle pizzuta di Avola pelate
150 grammi di mandorle pizzuta di Avola non pelate
20 ml di acqua minerale naturale

Accendere il forno a 150 gradi; giunto a temperatura e infornare le mandorle in una piccola teglia, nel mentre porre sul fuoco un pentolino con 100 grammi di zucchero e 20 ml di acqua naturale. Appena lo zucchero inizia ad imbrunire leggermente aggiungere le mandorle e far caramellare per bene senza che si brucino. Quindi stendere il tutto su un foglio di carta forno ed aspettare che si freddi. Frullare grossolanamente il croccante di mandorle ottenuto e far raffreddare in frigo.
Separare i tuorli dagli albumi. Montare i tuorli con 200 grammi di zucchero fino a quando non avranno triplicato il loro volume. Porre il composto in frigo. Nel mentre montare la panna e porre anche questa in frigo. Da ultimo montare gli albumi con 100 grammi di zucchero a velo (chi ha il bimby lo può ottenere dai 100 grammi di zucchero semolato, altrimenti lo si può comperare a parte già polverizzato), fino ad ottenere una meringa ben soda. Unire la panna ai tuorli e a questi la meringa, quindi incorporare il pralinato di mandorle. Versare il composto negli stampi e lasciar riposare per almeno 24 ore, dipende dalla potenza del vostro freezer. E' possibile fare uno stampo grande o tanti stampi piccoli o addirittura piccolissimi quelli dei cioccolatini.
Personalmente preferisco usare dei bicchieri di plastica, perché sono comodi all'atto dell'estrazione (basta incidere e tagliare la plastica) e danno quel 'grazioso' (come direbbe Michela) motivo a righine.

Per i riccioli di limone caramellati:
1 limone non trattato
2 cucchiai di zucchero semolato
1/2 cucchiaio di acqua minerale naturale

Pelare il limone con il pelapatate. Dalla buccia ottenuta, senza alcuna traccia di bianco, ricavare una julienne.
Porre un pentolino sul fuoco con lo zucchero e l'acqua. Appena lo zucchero inizia ad imbiondire aggiungere la julienne di limone e cuocere fino a quando tutto lo zucchero è caramellato. Versare il composto caramellato su un piano di marmo coperto da carta forno e velocemente estrarre l'aiuto di una pinza i singoli ricci di limone dalla massa di caramello, così che si possano raffreddare singolarmente.

Per la salsa di caffè, cioccolato e cardamomo:
300 ml di caffè, io ho usato il caffè Corallo
150 grammi di cioccolato Amedei Toscano Black 70%
5 grammi di cardamomo
zucchero q.b

Schiacciare il cardamomo in un mortaio (o in alternativa tagliare i singoli baccelli con delle forbici) e mettere in infusione nel caffè appena fatto per almeno un'ora. Filtrare il tutto e mettere da parte.
Tritare al coltello il cioccolato, quindi porre sul fuoco insieme al caffè filtrato. Lasciar intiepidire regolare di consistenza aggiungendo alla bisogna altro cioccolato tritato o un addensante come xantana, e regolare la salsa di zucchero.

Impiattare versando la salsa tiepida a specchio sul fondo del piatto, poggiare sopra il semifreddo ancora ghiacciato e da ultimo decorare con i riccioli di limone caramellato.
Normalmente sarebbe buona norma aspettare qualche minuto prima di servire il semifreddo, ma considerata la salta tipieda è fondamentale che il semifreddo, proprio per la sua intrinseca natura, sia impiattato ancora gelato.

L'abbinamento è con il Passito di Pantelleria Monasté 2000 di Salvatore Valenza. Che ovviamente, come lo stesso Salvatore vi ripeterà se andrete a trovarlo, non va *assolutamente* servito freddo, anzi un Passito di Pantelleria degno di questo nome (e purtroppo non sono molti a mio modestissimo avviso) va bevuto tra i 12 e i 15 gradi, per poterne assaporare tutto lo sterminato bouquet aromatico.

E' anche vero che un vino come il Monasté non ha bisogno di un abbinamento per essere gustato. Io lo trovo splendido come vino da compagnia, ottima compagnia. (=


29 luglio 2010

Viva le semplicità: Ajo, Ojo e peperoncino

Ajo Ojo e Peperoncino

Festa grande, questo mese addirittura due post a breve distanza l'uno dall'altro! d=
Devo dire che l'appena trascorso fine settimana romano con un clima mite ed ideale, una cucina soleggiata quanto basta ha fatto in modo che avessi un po di tempo da dedicare, non tanto a cucinare, ma quanto a mettermi a fare le foto...

Pochi piatti in Italia vengono fatti mediamente male come i piatti semplici. Non è difficile di questi tempi trovare in carta in alcuni ristoranti/trattorie/osterie una pasta ajo e ojo; così come è facile che una spaghettata improvvisata tra amici la abbia come principale attore.

Usualmente cosa si fa: si prende l'olio ci si butta dentro un po di aglio e del peperoncino o lo si fa andare a fuoco basso mentre si cuoce a parte la pasta. Questo comporta che spesso l'olio si bruci, o che si frigga troppo l'aglio e si bruci, che si bruci il peperoncino; o viceversa che l'olio non sappia di nulla (neppure di olio). In tutto ciò la troppa cottura o la troppo poca cottura rischiano di rendere il tutto assolutamente non digeribile.

Nella mia ajo e ojo, invece l'idea è di esaltare i singoli componenti. Per esempio l'olio va usato rigorasamente a crudo, mentre aglio e il peperoncino sono cotti insieme alla pasta. A dare quel 'tocco' in più per finire è il pan grattato e la farina di mandorle che assorbiranno un po dell'olio in eccesso e serviranno a stemperare il piccante del peperoncino.

Per questa ricette non ci sono dosi: l'olio va versato in funzione a quanto ne assorbe la pasta, così il peperoncino e l'aglio vanno regolati in base al gusto. Io per due persone ho usato: 2 peperoncini 1 e 1/2 spicchi di aglio.

Si procede così:
Tagliare i peperoncini longitudinalmente e privarli dei semi quindi ricavare una julienne. Pulire l'aglio privandolo dell'anima, quindi tritarlo con poche gocce di olio evo fino ad ottenere un battuto molto fino.
Tostare in padella una presa di pan grattato unita ad una presa di farina di mandorle e un pizzico di sale. Porre molta attenzione a questa operazione perché il rischio di bruciare tutto è dietro l'angolo.

Porre sul fuoco una pentola con dentro acqua minerale naturale. Preparare una padella dove cuocere gli spaghetti. Appena l'acqua raggiunge il bollore accendere il fuoco sotto la padella per la pasta, adagiarvi sopra il battuto di aglio e far tostare leggermente. Aggiungere un mestolo di acqua bollente i peperoncini a julienne e gli spaghetti. Quindi procedere alla cottura risottata della pasta.
Quando la pasta è quasi a cottura ultimata, va regolato il sale, ricordandosi sempre che sale - peperoncino e aglio sono ingredienti che si esaltano a vicenda.
In ultimo fuori dal fuoco mantecare vivacemente saltando la pasta con l'aggiunta dell'olio a crudo. E' importante non avere timore della quantità d'olio! A crudo fa bene e la pasta potrebbe richiederne una discreta quantità, l'importante è non metterlo tutto in una volta. L'ideale sarebbe fare questo lavoro in due, ovvero mentre una persona salta energicamente la pasta, l'altra versa l'olio a filo dall'alto.

Il mio consiglio spassionato sull'olio è di usare il monocultivar da Nocellara del Belice di Geraci.

24 luglio 2010

Capasanta su salsa di mais e macis, insalatina di pomodori e origano

Capasanta su salsa di mais

Ho preparato questa ricette diverse volte durante questa primavera/estate, e, forse è arrivata il tempo che vada "fuori menù". Ha riscosso da subito un buon successo tra i vari assaggiatori, ma penso che solo oggi sia arrivato a raggiungere un buon 'equilibrio' gustativo del piatto. Questo lo devo essenzialmente ad Elisa che mi ha fatto riflettere sulla mancanza di qualche elemento di freschezza nel piatto.

L'idea di base è quella dei sapori della capasanta con il mais, a cui ho subito legato la piacevolezza speziata del macis. Vi state chiedendo cosa sia il macis? Allora dovete sapere che la noce moscata (che tutti conoscete) ha anche un "di fuori", ecco! Questo è il macis "il fuori della noce moscata". Se ora vi state dicendo che sarà impossibile trovarlo allora vi dico che a Roma è facilissimo basta recarsi all'Emporio delle spezie, a Testaccio in Roma e troverete questa e tante altre buonissime spezie. Io ho conosciuto il macis per caso: in inverno durante una serie di degustazioni all'AIS di Roma questo sentore di macis era diventato il riconoscimento 'feticcio' del Sommelier Luciano Mallozzi, tanto che lo sentiva 'ovunque', per cui non era pensabile continuare a seguire le sue degustazioni senza cercare questo macis. L'incontro è stato amore a prima vista, o dovrei dire a primo assaggio.
Se non sapete di cosa stia parlando allora vi consiglio di andare a provare da voi, altrimenti limitatevi ad immagine il sentore della noce moscata un po meno pungente ma più ampio e delicato con sfumature aromatiche lievemente più dolci.

Per la salsa di mais:
150 grammi di mais cotto al vapore. Io tendo a non usare semi lavorati, ma ancora oggi come oggi non è facile avere un vero forno a vapore a casa, per cui la cosa più facile è comperare le pannocchie già cotte che si trovano in alcuni supermercati o in alternativa anche qualche barattolino di mais. In questa ultima ipotesi è importante scolare e sciacquare bene e più volte il mais prima dell'uso.
1 cipolla bianca
1 presa di sale grosso
1 pezzettino di alloro
macis q.b.
olio evo q.b.

Pulire la cipolla e tagliarla a julienne. Porre la cipolla in una tegame insieme alla presa di sale grosso ed al pezzettino di alloro. E' importante dosare bene l'alloro che è un erba aromatica *molto* intensa, considerate che quando si prepara la cipolla una foglia intera la si mette in 5 chili di cipolle. Quindi porre tutto su fuoco vivace fino a quando le cipolle non avranno buttato l'acqua; a questo punto abbassare la fiamma e lasciar caramellare fino in fondo. E' fondamentale che la cipolla caramelli tutti gli zuccheri, mediamente non ci possono volere meno di 40 minuti per cuocere una cipolla come si deve. Se durante la cottura si dovesse attaccare leggermente sul fondo del tegame allora aiutatevi con poche gocce d'acqua minerale.

Quando la cipolla è arrivata a cottura aggiungere il mais precedentemente scolato e sciacquato, aggiungere ancora un mestolo di brodo vegetale (o in alternativa di acqua minerale naturale) e lasciare cuocere per altri 10 minuti a fuoco vivace.

Porre il tutto in un frullatore insieme al macis e frullare a lungo aiutandosi con ancora poco brodo se dovesse servire e un po di olio evo.
In ultimo filtrare con il colino fine e tenere da parte per il servizio.

Per l'insalatina di pomodori:
1 pomodoro di San Marzano rosso e sodo
sale q.b.
olio evo q.b.
origano q.b.

Porre a bollire un pentolino d'acqua salata. Incidere lievemente la buccia del pomodoro e sbollentarlo nell'acqua. Prima di togliere la buccia raffreddare il pomodoro in acqua ghiacciata. Servirà a mantenerlo sodo. Tagliare quindi in il pomodoro in 4 parti, togliere i semi e tagliare i petali ottenuti a julienne (anche un julienne più grossa tipo fiammifero andrà benissimo).
Condire la julienne così ottenuta con un po di sale olio ed origano.

La capasanta
Scottare appena la capasanta su una padella rovente con un goccio di olio evo. Quindi impiattare ponendo la salsa di mais sul fondo del piatto l'insalatina di pomodori a raggiera e la capasanta su di essi. Completare il tutto con un pizzico di origano, pochi soffi di sale integrale e qualche goccia di olio evo.


26 giugno 2010

Variazioni sul tema: La quaglia

Non è possibile, non è possibile far passare anche il mese di Giugno senza un post nuovo. Mi rifiuto! E per quanto avrei aspettato ancora per fare delle foto più decenti al piatto, eccomi a raccontarvi lo stesso di questo piatto.

Variazione sul tema: la quaglia

Al centro del piatto abbiamo il petto della quaglia ripieno di rucola, mandorle e tartufo nero di Palazzolo Acreide su salsa di melone di Cantalupo; quindi sullo sfondo vediamo le cosce caramellate nel miele di timo; mentre sulla destra è appoggiato il filetto cotto nel fumo.

Questo è stato il piatto delle mie ultime cene a domicilio, ora che è andato "fuori menù" lo metto a disposizione di chi mi ha chiesto la ricetta essendosi perso qualche passaggio durante la preparazione.

Cosa serve: anzitutto servono le quaglie, calcolate una quaglia a persona più una o due di scorta o per eventuali bis.
La prima cosa da fare è "spaccare" la quaglia, ovvero dividere i due petti, recuperare i due filetti e quindi pulire le due cosce avendo cura di togliere tutta la pelle e non lasciare piume.
Spaccate le quaglie è importante conservare in frigo le varie parti, io consigli di usare un piccolo vassoio ricoperto di carta forno su cui adagiare la carne a sua volta ricoperta a un ulteriore strato di carta forno; poi pellicolare il tutto prima di porre in frigo.

Una volta riposte le quaglie in frigo, è ora di iniziare con le preparazioni vere e proprie. Anzitutto la salsa di melone di Cantalupo:
8 carcasse di quaglie (ovvero quello che è restato dopo aver spaccato le quaglie)
1 spicchio di melone di Cantalupo ben maturo
5gr di biconcetrato di pomodoro
2 pomodori san marzano
1/2 carota
1/2 costa di sedano
1/2 cipolla bianca
3l e 1/2 di acqua minerale naturale (liscia).
sale q.b.
xantana q.b.

Preriscaldare il forno a 180 gradi. In una pentola di abbondante capacità mettere a bollire dell'acqua. Incidere i pomodori e velocemente spellarli nell'acqua bollente. Tolti i pomodori mettere i resti di quaglia nell'acqua per 2 minuti quindi scolarli e porli su una placca da forno e infornare fino a quando le ossa non saranno color tabacco. Attenzione è FONDAMENTALE che le ossa NON BRUCINO. Poco prima di uscire le ossa dal forno aggiungere sulle stesse il biconcentrato di pomodoro e lasciare in forno per altri 5 minuti. Al termine porre il tutto in una pentola capiente, aggiungere la macedonia di pomodoro senza la buccia ed i semi la carota, la cipolla e il sedano; coprire di acqua e portare a bollore. Dal bollore contare a sobbollire per un'ora e mezza. Trascorso questo tempo filtrare e continuare a far sobbollire fino a che la salsa non sarà completamente ristretta (deve evaporare almeno per 2/3 ). In questo frangente non è importante pensare alla densità.
Tagliare a cubetti la fetta di melone, metterne un quarto nel frullatore insieme alla salsa ristretta. Frullare a lungo aggiungendo altro melone se serve, il sale e la xantana se serve.

Per il petto ripieno:
75 grammi di rucola
100 grammi di mandorle
40 ml di acqua gassata ghiacciata
25 grammi di tartufo nero di Palazzolo Acreide (o anche di Norcia)
olio evo q.b.
sale q.b.

In un potente frullatore mettere l'acqua la rucola e le mandorle. Frullare il tutto aggiungendo l'olio e il tartufo. Quindi regolare di sale. Deve venire un ripieno abbastanza saporito, dalla consistenza granulosa tanto da poter essere inserito in un sac a poche.
Incidere il petto della quaglia per la larghezza con uno spelucchino, così da creare una sacca interna della dimensione di un dito. Quindi riempire tale sacca con il composto di rucola mandorle e tartufo. Avvolgere i petti ripieni in carta forno, pellicolare ed attendere il momento della cottura.

Per il filetto:
300ml di acqua minerale naturale

Riporre in tè in due filtri di carta decolorata. Portare l'acqua 95 gradi. Versare l'acqua in un piccolo contenitore dove dentro sono stati posti i filetti di quaglia e le bustine di tè. Coprire con alluminio e lasciare in infusione per almeno un ora.

Le cotture:
Ogni parte della quaglia avrà una doppia cottura. Il filetto ha la sua prima cottura in infusione, mentre i petti e le cosce hanno un passaggio in padella e quindi tutte e tre andranno in forno in tempi diversi. Servirà del burro.

Per prima cosa accendere il forno a 200 gradi. Preparare tre pezzi di alluminio a forma di barchetta. Porre una padella antiaderente sul fuoco lasciare infuocare e aggiungere poco olio evo e uno spicchio di aglio diviso in due, quindi salare e marcare ben bene i petti ripieni. Togliere l'aglio e versare il tutto nel primo pezzo di alluminio, porre dei fiocchi di burro e chiudere a mo di fagotto.
Pulire la padella con della carta, o usarne un'altra. Versare tre cucchiaiate di miele di timo e far sciogliere. Quindi aggiungere le cosce e marcarle ben bene. Una volta salate, marcate e caramellate versare il tutto nella seconda barchetta di alluminio, aggiungere poco timo, qualche fiocco di burro e chiudere a fagotto.
Scolare i filetto dall'infuso di tè affumicato. Porli nell'ultimo foglio di allumino aggiungere poco tè precedentemente usato, qualche fiocco di burro, un po di sale e richiudere a fagotto pure quest'ultimo.

A questo punto inizia la fase di cottura al forno, i tempi sono indicativi, ma mediamente se avete marcato per bene in padella le varie parti non ci dovrebbero essere problemi. Iniziamo mettendo su una placca da forno il fagotto con le cosce per 8 minuti, passati i quali aggiungeremo nel forno il fagotto con i petti e conteremo per altri 7 minuti. Da ultimo aggiungeremo il fagotto con i filetti per altri 3 minuti. Il totale di cottura per le cosce sarà quindi di 18 minuti, per i petti di 10 e per i filetti solo di 3.

A cottura ultima potremo impiattare usando la salsa di melone di Cantalupo su cui adagiare i petti ripieni, quindi porre le cosce su cui verseremo un po di salsa di cottura raccolta dal fagotto di stagnola e da ultimo il filetto su cui verseremo parimenti un po di salsa di cottura raccolta anche essa dalla stagnola.

Variazione sul tema: la quaglia

11 aprile 2010

Pesto di pistacchi di Bronte

Pesto di pistacchio di Bronte

Quando è lunedì di Pasqua e sei a casa in compagnia di una Fanciulla e non hai nulla, dico nulla, per cucinare che fai? Semplice usi quel poco che trovi a disposizione. E cosa c'era a disposizione il lunedì di Pasqua? Poco, ma abbastanza per fare una buona (anche se non dovrei essere io a dirlo ma Lei appunto) pasta (fusilli Garofalo) al pesto di pistacchi di Bronte.

400 grammi di pistacchi di Bronte al naturale
40 grammi di pomodoro fresco ben maturo
3 o 4 cubetti di ghiaccio
olio evo q.
b.
sale q.b
peperoncino q.b
granella di pistacchio di Bronte al naturale q.b.

Tostare 200 grammi di pistacchi e aspettare che si freddino (se avete un abbattitore è il momento di usarlo). Porre tutti i pistacchi (tostati e non) in un frullatore, aggiungere olio evo ed avviare le lame. Appena le lame sono in movimento aggiungere subito il primo cubetto di ghiaccio, quindi altro olio se serve, il peperoncino, altro ghiaccio, altro olio se serve, regolare di sale e quindi aggiungere altro ghiaccio se serve, altro olio e altro di tutto un po fino ad ottenere un composto liscio e cremoso.
Lessare la pasta in abbondante acqua salata. Poco prima di scolare la pasta mettere da parte un po di acqua di cottura. Quindi da ultimo saltare la pasta in padella regolando la densità del pesto aggiungendo un poco dell'acqua di cottura precedentemente messa da parte.
Servire spolverando con un po di granella di pistacchi al naturale.

Pesto di pistacchio di Bronte



Come si vede nella foto in alto abbiamo abbinato al pesto un ottimo vino rosé: Franciacorta rosé, Ricci Curbastro. 80% pinot nero, 20% Chardonnay per un vino spumante di un color salmone davvero intrigante e fini catene di bollicine. Al naso emergono da subito sentori di piccoli frutti rossi e sbuffi di macis, quindi emergono note di melone cantalupo e mandarino che preludono a lievi ricordi di una mineralità chiara. La bocca è essai piacevole dominata da una bella nota fresco/sapida che sorregge bouquet aromatico già avvertito al naso. L'abbinamento è molto gradevole, le bollicine e la freschezza aiutano a sgrassare ed a contenere la tendenza dolce del piatto, mentre l'aromaticità si integra e si esalta con l'intensità del pistacchio.

05 aprile 2010

Creme brulee di scampi

Creme brulee di scampi, prosciutto e pistacchio

Ci sono idee che pensi e sai già come realizzarle, ci sono idee che sai già che sapore avranno (ammesso che le idee possano avere un sapore), altre invece hanno bisogno del loro tempo per assestarsi e delineare i contorni del gusto e della forma, altre ancora che sai come dovrebbero essere idealmente non sai dall'inizio come realizzarle tecnicamente.
Una creme brulee che sappia di scampi, che non sia un dolce ma che debba avere una tendenza dolce spiccata; che necessiti di essere salata senza poter essere troppo salata per via dello zucchero da bruciare e della crema da addensare; un crema che sappia di mare senza però esagerare quei sentori marini troppo pungenti. Insomma un piatto da equilibristi, un piatto che rischia di diventare stucchevole, o, peggio ancora sgradevole ad ogni eccesso.

Un piatto che richiede un supporto fuori dal piatto, per assurdo che possa sembrare, l'aiuto di una fettina di prosciutto, come in questo caso, o anche di
una piccola macedonia di frutta salata, penso a del melone cantalupo maturo o delle mele gialle, o ancora l'anguria in estate.

Ma bando alle ciance, ecco come si prepara:

1/2 litro di panna
100 ml di latte
4 uova
10 scampi di medie dimensioni
30 grammi di zucchero
20 grammi di sale marino
1 limone non trattato
sale Maldon q.b.
granella di pistacchi di Bronte q.b.
prosciutto di maiale nero dei Nebrodi q.b.


Riscaldare il forno a 150 gradi e porre a bollire una pentola d'acqua. Sbattere i tuorli con lo zucchero il sale e la buccia grattata da un limone non trattato (prestare sempre molta attenzione a non grattare il bianco). Frullare la polpa degli scampi con il latte ed un po di panna, quindi filtrare al colino fine ed incorporare al composto di tuorli. Portare la panna a 80 gradi e stemperare il composto precedentemente ottenuto. Da ultimo riempire delle cocotte (io ho usato delle cocotte più piccole rispetto a quella che si usano per fare la creme brulee dolce e ne ho riempite 10) poste in una teglia con i bordi alti. Versare l'acqua bollente nella teglia così
da coprire le cocotte per i 3/4, quindi informare per 40 minuti circa.
A cottura ultimata, far raffreddare le cocotte, coprire con pellicola trasparente e conservare in frigo.

Prima di servire spolverare appena di zucchero bianco, bruciare con l'apposito strumento e spolverare con un po di scaglie di sale Maldon e granella di pistacchio di Bronte al naturale. Impiattare ponendo accanto alla cocotte una fetta di prosciutto di maiale nero dei Nebrodi o altro accostamento.

Creme brulee di scampi, prosciutto e pistacchio


Noi abbiamo mangiato questo come aperitivo, bevendoci in abbinamento un GAVI Montessora 1998, Tenuta La Giustiniana. La grande freschezza del vino nonostante i suoi 12 anni ha retto e contrastato mirabilmente la grassezza e la tendenza dolce della crema; mentre il suo bouchet evoluto ricco di note minerali, frutti maturi e fiori gialli (quasi miele mille fiori) ha retto ed esaltato senza eguali l'aromaticità marina degli scampi. E c'è ancora chi sostiene che i vini bianchi non possano reggere l'invecchiamento?!? O non possano essere abbinati a piatti 'importanti' ed 'impegnativi' (gustativamente parlando ovviamente)???